Nella seconda parte dell’articolo sui meccanismi di difesa, analizzeremo quelle che sono le strategie adottate dalle api contro i grandi predatori o contro le vespe
di Martina Trapanese
Controllo del “self/non self”
Negli animali sociali, come le api, la discriminazione del sé dal non sé si estende all’identità di gruppo; le operaie devono discriminare i membri del gruppo dai non membri. Un animale può identificare nemici esterni usando informazioni codificate geneticamente, come odori specie-specifici o schemi visivi, o informazioni apprese da precedenti incontri con parassiti o predatori.
Quando un’ape atterra all’ingresso dell’alveare, le guardiane si avvicinano rapidamente e con le antenne
verificano se si tratta di una compagna del nido. Il riconoscimento delle compagne si basa sulla percezione degli stimoli chimici trasportati dall’ape in arrivo (idrocarburi cuticolari, in particolare alcheni). Questi segnali cutanei hanno sia una componente genetica sia una componente ambientale acquisita all’interno dell’alveare in seguito al contatto con la cera del favo e per contatto delle api, l’una con l’altra. Il compito delle guardiane è quindi di confrontare il “profilo chimico” delle api in arrivo con quello della propria colonia. Poiché l’odore della colonia può cambiare (ad esempio quando una nuova regina si insedia dopo la sciamatura), le guardiane aggiornano continuamente il loro “profumo” interno e accettano altre api in base alla loro somiglianza chimica.
Le ispezioni delle api guardiane sono in genere molto veloci (1-5 s) e la maggior parte delle api esaminate non
si ferma nemmeno mentre sono “antennate” dalle guardiane. A volte, tuttavia, le ispezioni sono molto più lunghe, fino a 30 secondi o più. In tali occasioni, la candidata adotta una postura sottomessa e riscalda il torace, probabilmente per migliorare l’evaporazione chimica e facilitarne così l’identificazione.
Se un’ape in arrivo viene riconosciuta come un’intrusa, viene trascinata via dalle guardiane. Quando riescono ad accedere alla colonia, le intruse possono ancora essere identificate sui favi e trascinate all’ingresso dell’alveare.
Quando alcune api vogliono provare a saccheggiare altre colonie, queste vengono identificate ancor prima che
atterrino perché mostrano un caratteristico volo ondeggiante, muovendosi avanti e indietro di fronte all’alveare. Le api guardiane guizzano verso l’aspirante ladra e non appena atterra iniziano a trascinarla senza alcuna apparente necessità di un’ispezione olfattiva. Una ladra catturata in questo modo proverà immediatamente a scappare e, se avrà successo, riprenderà il suo volo ondeggiante. Tuttavia, se le guardiane riescono a mantenere la presa, ne consegue una lotta uno contro uno in cui la guardiana e la ladra cercano di pungersi l’un l’altra.
I fuchi mostrano un’interessante eccezione alla regola generale di “esclusione”, in quanto sono genericamente accettati nelle colonie di api (sebbene vengono espulsi dalle colonie nella tarda estate, nelle zone temperate), spesso causando quei fastidiosi fenomeni di “reinfestazione da varroa”. Questa intercambiabilità dei fuchi potrebbe essere il risultato della selezione per una forma di lieve parassitismo in cui i fuchi ottengono nutrimento dalle operaie non imparentate sperando che questi ultimi ricambino il favore con un efficace evento “riproduttivo”.
Le api VS altri animali
La strategia difensiva messa in atto dipende anche dal contesto ovvero dalla posizione e dall’entità della minaccia. Ci possono essere minacce da parte di piccoli artropodi all’interno del nido oppure attacchi sull’intera struttura del nido da parte di grandi predatori come umani o orsi.
I favi da miele possono attirare le formiche. Le api all’ingresso dell’alveare esibiscono un comportamento
stereotipato: prima si allontanano dalle formiche che cercano di mordicchiarle e poi “soffiano” questi piccoli insetti fuori dal pianerottolo sventolando le ali freneticamente. Esistono però lievi variazioni in relazione alla difesa da formiche: Apis mellifera ligustica ad esempio completa questo comportamento dando dei calci con le zampe posteriori per colpire le formiche mentre Apis mellifera capensis esegue cerchi alternati in senso orario e antiorario per assicurare che una vasta area sia coperta.
Mentre le formiche sono per lo più opportunistiche, altri insetti hanno sviluppato forti associazioni parassitarie
con le colonie di api; ne sono un esempio l’acaro Varroa destructor, la falena della cera, Galleria mellonella, e il piccolo scarafaggio dell’alveare, Aethina tumida. La difesa della colonia da V. destructor si basa sull’attuare comportamenti igienici piuttosto che una guardia attiva. Per le falene della cera, le api da miele rimuovono le larve della tignola, nascoste nelle fessure dell’arnia, mordendole e trascinandole fuori dal nido.
L’intrusione degli scarafaggi è solitamente controllata da diverse guardiane. Tuttavia, il piccolo coleottero
ha sviluppato un esoscheletro schermante e appendici ridotte che può ritrarre sotto il suo corpo in maniera simile a una tartaruga. Questa forma e questo comportamento rendono difficile per le guardiane afferrare o pungere il coleottero, che spesso trova un posto piccolo e inaccessibile per nascondersi nell’alveare. Le guardiane circonderanno allora quest’area con la propoli, confinando così il coleottero. Se l’infestazione dei coleotteri diventa schiacciante, le api scappano, lasciando il loro nido tutto in una volta.
Le api guardiane sono anche la prima linea di difesa contro i grandi predatori, come uccelli, topi, procioni, orsi e umani. Le api volano per controllare eventuali disturbi che si verificano vicino all’alveare, e sono per lo più infastidite da colori scuri, movimenti rapidi, profumi di mammiferi e trame ruvide. Gli apicoltori hanno provato che movimenti lenti e deliberati, quando manipolano un alveare, hanno meno probabilità di suscitare risposte difensive. Alcuni dati suggeriscono che le api mellifere imparano a identificare la fonte delle minacce ripetute, come ad esempio un apicoltore che disturba una colonia ogni giorno.
Di fronte a un grande predatore, alcune guardiane volano immediatamente verso di esso mentre altre estrudono il loro pungiglione, sollevano il loro addome e corrono all’interno dell’alveare muovendo le ali e rilasciando così i feromoni di allarme prodotti dall’apparato del pungiglione. In quest’ultimo caso vengono allertate le
compagne da nido della potenziale minaccia. Le guardiane possono anche allertare le operaie di altre colonie sui possibili intrusi. Una volta reclutata un’ape, questa inizierà a cercare il possibile bersaglio.
La maggior parte delle api in realtà non punge il nemico localizzato, ma invece lo molesta volando rapidamente intorno ad esso e spesso urtandolo con un caratteristico ronzio acuto. Quando un’ape punge un mammifero, poiché il tessuto di quest’ultimo è elastico, le lancette appuntite del pungiglione, insieme alla sua debole connessione con il resto dell’addome, fanno sì che questo apparato e i muscoli associati rimangano nella ferita anche se l’ape stessa viene rapidamente rimossa.
Questo aumenta la quantità di veleno iniettato nella ferita. Questo fenomeno, che è seguito dalla morte dell’ape mutilata, è chiamato autotomia di puntura e si trova solo tra gli insetti eusociali dove la perdita di un’operaia sterile non ha un effetto diretto sulla sua idoneità riproduttiva. Inoltre, contrariamente a quanto si crede, l’ape “pungente” non muore subito ma vive da 18 a 114 ore dopo aver perso il suo pungiglione; in tal modo conserva un certo valore come difensore. La puntura delle api è comunque un evento influenzato da stimoli visivi, tattili e olfattivi. Inoltre la puntura nel bersaglio aumenta la probabilità che venga punto di nuovo, a condizione che il bersaglio si muova.
Infine, le api da miele devono anche affrontare i calabroni. Questi grossi insetti predano le api adulte e di
solito si aggirano vicino all’ingresso dell’alveare piombando sulle bottinatrici di ritorno. I calabroni causano danni considerevoli alle colonie di api che rappresentano per loro una preziosa fonte di proteine (api e larve) e carboidrati (nettare e miele). Alcune “operaie” del calabrone gigante giapponese Vespa mandarinia possono
sterminare una grande colonia di api in un solo giorno e successivamente nutrirsi delle pupe e delle larve. A causa delle dure cuticole dei calabroni, è quasi impossibile che le api li pungano.
Molti studi hanno descritto diverse tattiche di difesa messe in atto dalle api contro i calabroni. Questi studi
sono stati condotti in Asia su A. cerana VS Vespa mandarinia, a Cipro con Apis mellifera cypria VS Vespa orientalis e in Italia con Apis mellifera ligustica VS Vespa crabro. È stato proposto che l’ape nativa dell’Asia impieghi una strategia difensiva chiamata “termo-palla” per uccidere il calabrone gigante asiatico, reclutando in questa attività, più di 30 api.
Tuttavia, lo studio sul fenomeno della termo-palla ha rivelato che il calore raggiunto (circa 45°C), da solo non è sufficiente per uccidere un calabrone; un’alta concentrazione di CO2 e un’umidità relativamente elevata interagiscono con la temperatura per uccidere V. mandarinia all’interno della palla. Le api raggiungono l’aumento della temperatura contraendo i loro muscoli toracici. La temperatura al centro della palla è al di sopra del limite termico del calabrone, ma è innocua per le api stesse, che hanno un limite termico di circa 50°C.
A Cipro, il comportamento difensivo della ape mellifera nativa contro il suo predatore naturale, il calabrone
orientale V. orientalis, prevede anche la formazione di una palla, ma, poiché il limite termico letale per la
vespa è superiore a quello di V. mandarinia e simile al limite termico di A. m. cypria, le api non possono uccidere i calabroni con la termo-palla. Pertanto adottano un’altra strategia chiamata “palla di asfissia” in cui bloccano efficacemente il movimento dei segmenti addominali (tergiti) del calabrone intrappolato. Questa azione limita il funzionamento del sistema respiratorio del predatore e, combinato con l’aumento
della temperatura e della concentrazione di CO2 nella emolinfa degli insetti, provoca la morte dell’insetto.
In Italia, l’ape nativa attiva la termo-palla contro il suo predatore naturale, V. crabro, ma in questo caso sono coinvolte solo 15-20 operaie che aumentano la temperatura della palla fino a 44°C.
L’elemento chiave che determina una difesa di successo delle api contro calabroni è quindi legato alla capacità
delle api di formare la palla per inglobare il predatore.
Le api in alcuni casi possono aggregarsi sulla piattaforma dell’alveare in una modalità chiamata “tappeto d’api” in cui si attaccano l’una all’altra per formare un “tappeto” e cercano di catturare il calabrone con le zampe anteriori e le mandibole. In caso di successo, trasportano rapidamente il calabrone all’interno di una densa palla di api. È interessante notare che questo comportamento è diffuso in tutto il genere Apis, ma si è evoluto per adattarsi alle particolari interazioni di ciascuna specie/sottospecie di api con le corrispondenti specie locali di calabrone.
Le colonie di api possono anche usare strategie difensive che non richiedono il contatto fisico con i loro
nemici, come nel caso dello scuotimento dell’addome in maniera sincronizzata, durante il quale espongono la ghiandola di Nasanov ed emettono un suono di allarme definito come “sibilante”.
È stato osservato che le api producono suoni o “sibili” quando i calabroni sono in giro, ma non si sa ancora per certo se questi suoni sono usati come un segnale di allarme o sono suoni di sofferenza.
Anche i muri di propoli possono essere utili strategie difensive che impediscono ai calabroni di entrare nell’alveare senza il contatto diretto con le api.
Si ritiene che tali differenziazioni comportamentali derivino dalla coevoluzione e dall’adattamento alle pressioni ambientali e alle diverse tattiche di predazione tra le specie.
Api vs Velutina
Le specie invasive rappresentano
una minaccia alla biodiversità, tra queste è di grande preoccupazione la Vespa velutina Lepeletier per il suo
impatto sull’ape domestica europea, Apis mellifera.
La V. velutina va a caccia di api operaie posizionandosi sospesa verso l’alveare, in attesa di catturare le api che sono di rientro. V. velutina è diffusa nel nord dell’India e in Cina, l’area da cui proviene. È distribuita in aree che differiscono molto nel loro intervallo di temperature annuale.
La vespa asiatica ha recentemente esteso il suo raggio di distribuzione in Europa, iniziando con l’invasione
della Francia (nel 2004) arrivando fino al nord della Spagna, Portogallo e Italia. La dimensione della popolazione di V. velutina nel suo habitat nativo è controllata dalla predazione e dalla competizione. A causa delle dimensioni delle loro colonie, almeno tre volte più grandi di quelle della vespa europea, V. crabro,
la velutina esercita una pressione di predazione più forte sugli apiari europei di quanto non faccia il calabrone autoctono.
Uno studio condotto nel 2014 da un gruppo di ricercatori francesi su 95 colonie di A. mellifera della Francia sud-occidentale ha esaminato il comportamento difensivo delle api verso il nuovo predatore. Le analisi sono
state eseguite nei mesi di agosto-ottobre 2008 e agosto-settembre 2010, quando cioè la popolazione del calabrone è al suo apice. Gli studi sono stati condotti sia in condizioni naturali che in vitro, dove sono stati simulati degli attacchi da parte della vespa. In quest’ultimo caso i calabroni sono stati raccolti in situ, anestetizzati con CO2 e fissati a un filo di nylon trasparente di 10 cm. I calabroni, risvegliati, sono stati portati sulla plancia dell’alveare e esposti alle guardiane della colonia. In altri esperimenti è stata analizzata la risposta difensiva delle api in seguito all’introduzione del calabrone nell’alveare.
In condizioni naturali e in entrambi gli anni (2008 e 2010), è stata osservata una risposta difensiva caratterizzata
da tre diversi modelli comportamentali:
- nel 42% delle colonie osservate, un gran numero di api si sono riunite sulla plancia di volo e sulle pareti verticali vicino all’ingresso per formare un tappeto d’api;
- nel 20% delle colonie osservate, le api sul predellino di volo formavano un tappeto d’api e avevano un
comportamento coordinato, con individui aggrappati in gruppi e seguivano i movimenti del calabrone girando il corpo nella sua direzione. In questo caso sono stati uditi frequenti sibili; - le restanti colonie (38%) non hanno mostrato alcun comportamento coordinato; le api mellifere si disperdevano sulla plancia di volo e sulla parete frontale dell’alveare.
Nel caso delle colonie appartenenti al gruppo 2, i calabroni non hanno mai tentato di atterrare sulla plancia di volo e, mentre si libravano a circa 15 cm dall’ingresso dell’alveare, cercavano di catturare le api che ritornavano e/o lasciavano l’alveare. In tali condizioni le foraggiatrici sono maggiormente esposte agli attacchi in quanto più cariche di polline, più pesanti, più lente nei movimenti e quindi più facili da catturare.
Nei pochi casi (circa sei), in cui i calabroni sono venuti accidentalmente a contatto con il tappeto d’api, sono
stati inghiotti dalle api e trasportati all’interno dell’alveare.
In quegli alveari dove le api non avevano un comportamento coordinato, c’era un maggiore attacco da parte dei
calabroni verso le api isolate sul predellino.
Quando l’attività della colonia era molto bassa e non si formava un tappeto d’api all’ingresso dell’alveare, i
calabroni sono riusciti ad entrare nell’alveare per rubare i depositi di polline e miele, così come le larve e le pupe.
In generale, è stata osservata una tecnica di difesa da parte delle api non del tutto vincente contro la vespa
velutina, sebbene la stessa strategia si era dimostrata efficace contro i predatori naturali.
Inoltre è stato osservato che la difesa diminuiva nei mesi di maggiore pressione predatoria (settembre e ottobre) rispetto a quando la pressione di predazione era più bassa (agosto).
La ridotta risposta difensiva alla pressione predatoria potrebbe essere giustificata da diversi fattori:
- le colonie si ritirano nell’alveare per difendere il loro nido;
- c’è una diminuzione naturale della dimensione della popolazione delle api in autunno;
- si presenta un indebolimento della colonia dopo la continua predazione da calabroni nei mesi precedenti.
Durante le analisi in condizioni naturali, non sono state osservate api lasciare il tappeto per dirigersi verso
la vespa. Le azioni difensive inoltre variavano leggermente tra le colonie a seconda delle “scelte” delle stesse famiglie: alcune investivano di più nella difesa e meno nel foraggiamento ed altre facevano l’opposto; molto
probabilmente ciò era dovuto alla forza delle colonie, alla loro genetica, e alle condizioni climatiche in cui vivevano.
Dagli esperimenti in vitro è emerso che la formazione della “termo-palla” si è avuta solo quando il calabrone era
posto direttamente sulla plancia di volo e non quando era distante dall’alveare.
In generale è stato osservato che le api sono molto più efficaci nell’uccidere i calabroni introdotti all’interno
dell’alveare rispetto a quelli posti sulla plancia.
Lo stesso gruppo di ricerca, nel 2017, ha approfondito gli effetti della pressione predatoria da parte delle
vespe sulla vita delle colonie di api. Lo studio è stato condotto su due alveari ed è iniziato a luglio 2009 e si è concluso ad ottobre del 2009.
Durante questo periodo è stata osservata, come sempre, una diminuzione delle api bottinatrici; nello specifico,
tale diminuzione è stata osservata quando il numero di calabroni per alveare era superiore a 10. Invece il numero di api domestiche sul predellino di volo variava in base al numero di calabroni di fronte all’ingresso dell’alveare. Il numero massimo di api sulla plancia di volo è stato raggiunto tra la fine di agosto e gli inizi di settembre e per un numero di sette calabroni.
Questo studio ha inoltre constatato che la formazione della “termo-palla” si ha in circostanze specifiche, cioè
quando il calabrone cade sul tappeto d’api. Prima i ricercatori avevano osservato il comportamento della “termo-palla” solo quando i calabroni venivano introdotti sperimentalmente nell’alveare o collocati vicino all’ingresso. Resta tuttavia poco chiaro se si tratti di una “termo-palla” simile a quella fatta dalle api asiatiche o di una palla che porta all’asfissia come quella strutturata dalle api cipriote e/o associata al veleno d’api attraverso le loro punture al calabrone. In ogni caso, la frequenza di tale comportamento era ancora una
volta molto bassa.
Conclusioni
Risulta quindi chiaro che il comportamento difensivo delle api richiede un’integrazione multisensoriale
sofisticata, che coinvolge meccanismi olfattivi, visivi e meccanosensoriali.
Ma nonostante i tanti anni di addomesticamento delle api e i numerosi studi condotti sul comportamento delle stesse, c’è ancora molto da scoprire, come ad esempio i meccanismi biochimici e neurali
che regolano l’aggressività nelle api.
La conoscenza di questi meccanismi potrà forse un giorno consentire lo sviluppo di nuovi strumenti per
gestire colonie aggressive o favorire la selezione di linee con caratteristiche fisiologiche o neurali desiderabili, al fine di migliorare la stessa gestione della colonia.
leggi anche
Quando l’unione… fa la forza! Parte 1
Bibliografia
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