Vi racconto la prova messa in campo da APAS: piattino vs Aspronovar
di Carmine Tammaro
Noi apicoltori siamo alla costante ricerca del miglior trattamento contro la varroa, quello che abbia la maggior efficacia contro il parassita e il minor impatto sulle api. Ma esiste un trattamento che vada bene per ogni momento della stagione, che sia indipendente da temperatura e umidità dell'aria, dal grado di infestazione o dal tempo di carenza?
La risposta è certamente NO, un unico trattamento che vada bene in modo universale non esiste.
Oggi la strategia di lotta che viene considerata più efficace è l’alternanza di diversi acaricidi associata all’utilizzo di biotecniche come l’ingabbio della regina e l’asportazione di covata. Alternare diversi tipi di trattamento è importante per ridurre il rischio che la varroa diventi resistente ai principi attivi e che quindi riesca a sopportare una dose di sostanza tossica che precedentemente risultava avere alti livelli di mortalità.
Lo sviluppo della resistenza ai pesticidi è stato studiato in molti insetti ed è dovuto ai più svariati meccanismi fisiologici, da una migliore capacità detossificante ad una riduzione della penetrazione attraverso la cuticola.
Per quanto riguarda la resistenza di varroa agli acaricidi di sintesi, alcuni studi hanno evidenziato che negli USA il tau-fluvalinate e il coumaphos hanno perso efficacia a causa dell’uso eccessivo e si ipotizza che sia stata la loro tendenza ad accumularsi nella cera ad elevate concentrazioni a rendere questi principi attivi inutili.
Data questa premessa, la pianificazione e la messa in atto di una valida strategia di lotta alla varroa richiedono la conoscenza di quanti più principi attivi sia possibile e delle loro diverse modalità d’utilizzo.
Ad esempio l’acido ossalico, uno degli acaricidi più utilizzati dagli apicoltori, esiste in diverse formulazioni (in soluzione con la glicerina oppure in polvere da miscelare ad una soluzione zuccherina) e si può somministrare anche sotto forma di vapore grazie al sublimatore. Un unico principio attivo ma con diverse modalità di utilizzo a seconda delle esigenze dell’apicoltore e del periodo dell’anno in cui si va ad effettuare il trattamento. Infatti è risaputo, come regola generale, che il sublimato va fatto in inverno quando l’umidità dell’aria è sufficientemente alta e si può ripetere più volte nell’arco di 21 giorni, invece il gocciolato con la soluzione zuccherina si esegue una sola volta in assenza di covata e la sua efficacia dipende molto da quanto le api sono attive all’interno dell’arnia.
Un altro acaricida molto valido nel contrastare la varroa, utilizzabile anche in apicoltura biologica, ma su cui aleggia un alone di diffidenza tra i giovani apicoltori che conosco, è l’acido formico.
Credo che la cattiva reputazione che lo accompagni sia dovuta principalmente all’elevata capacità corrosiva; infatti si può restare ustionati se non viene maneggiato correttamente, e dal fatto che non è facile controllare la sua velocità di evaporazione e quindi, se utilizzato male, può portare alla morte della regina o addirittura dell’intera colonia.
Eppure per la sua manipolazione bastano, come DPI, dei semplici guanti da cucina, la plastica resiste molto bene a quest’acido mentre i metalli vengono facilmente corrosi, e la maschera che copre bocca e naso con filtro per vapori organici (quando si preparano gli erogatori o i supporti).
Invece, per diminuire al minimo gli effetti avversi alle colonie quando la temperatura è elevata, è utile somministrare il formico nel tardo pomeriggio in modo che con il diminuire della temperatura dell’aria aumenta l’umidità relativa e si ha un’evaporazione dell’acido più lenta, a cui le api si abituano senza subire gravi danni.
Riguardo alla sua efficacia ci sono pochi dubbi, alcune prove in campo hanno evidenziato che oltre alla varroa foretica viene eliminata o danneggiata, al punto da comprometterne la riproduzione, anche una parte di quella che si trova sotto opercolo.
Un altro vantaggio di questo principio attivo è che è già presente nel miele, non si accumula in modo eccessivo e non cambia le caratteristiche fisiche e organolettiche del prodotto, particolarità che ne permette l’utilizzo anche mentre le colonie hanno i melari. La sua efficacia nel contrastare la varroa in presenza di covata e la possibilità di applicazione durante la stagione produttiva hanno portato diverse aziende ad utilizzarlo, con modalità “flash”, per un trattamento tampone tra il raccolto primaverile e quello estivo in modo tale da tenere l’infestazione di varroa a livelli bassi fino al trattamento di fine stagione. Questo tipo di trattamento è molto veloce in quanto si somministra una quantità di acido per famiglia tale da evaporare in un periodo di circa 24 ore, è di facile applicazione poiché occorrono solo l’Apifor 60 e dei supporti assorbenti come cartoncini di cellulosa ed è molto rapido da eseguire visto che i supporti possono essere messi nei fondi senza dover aprire l’arnia.
Sicuramente bisogna prenderci un po’ la mano, va adattato alle condizioni climatiche della propria zona per massimizzarne l’efficacia e minimizzare i danni.
Per avere un’idea della sua applicazione posso raccontarvi la mia esperienza, premettendo che opero in zone costiere ad un’altezza s.l.m. mai superiore a 300 m. In breve, quando a fine maggio tolgo i melari primaverili, misuro il grado d’infestazione con il VEC su 4 famiglie a campione per apiario e se la media supera il 4% faccio il trattamento flash con il formico. Preparo in laboratorio i supporti assorbenti (cartoncini o spugnette di cui ho testato la capacità assorbente in precedenza) mettendoli in un secchio con la quantità di acido formico utile per impregnarli tutti e lasciandoli lì l’intera notte con il coperchio del secchio chiuso.
La quantità di apifor60 che utilizzo è 50 ml per colonia. Il giorno dopo la preparazione, nel tardo pomeriggio, applico i cartoncini impregnati di formico nel fondo delle arnie e vado a rimuoverli dopo circa 18 ore; ciò significa che se, ad esempio, faccio il trattamento verso le 18-19 leverò i supporti assorbenti il giorno dopo intorno alle 12-13. È importante sottolineare che se eseguito nelle ore più calde della giornata questo trattamento, con le temperature estive della mia zona, può portare alla perdita di un consistente numero di api e della regina. Se poi si è particolarmente sfortunati e si incappa in una giornata ventosa e molto secca, il danno alle famiglie può essere gravissimo, portandole alla morte.
Il “formico flash” non è totalmente efficace da poter essere utilizzato come trattamento di fine stagione ma è comunque molto utile per tenere sotto controllo la varroa durante i periodi più caldi dell’anno, bisogna precisare che affinché il formico si diffonda omogeneamente nell’arnia è importante che la famiglia sia popolosa e copra almeno 7-8 telaini.
Per essere utilizzato come trattamento di fine stagione il formico dev’essere somministrato, grazie agli erogatori, per un periodo di almeno 7-8 giorni. Tra gli erogatori più usati in Italia a causa del buon rapporto qualità/prezzo troviamo l’Aspro-Novar Form, costituito essenzialmente da un telaino da melario a cui sono agganciate tre boccette dotate di uno stoppino che può essere posizionato al centro dell’arnia tra i telai di covata oppure lateralmente, tra l’ultimo telaio di covata e il primo di scorte (al sud Italia si tende a metterlo centralmente). Oltre alla sua posizione tra i telai, un altro modo per regolare l’effetto sulle api è dato dalla lunghezza degli stoppini, più grande sarà la superficie evaporante maggiore sarà la velocità con cui evaporerà l’acido (io ho usato un'altezza compresa tra 1 e 1,5 cm); grazie alla possibilità di modularne l’uso può essere utilizzato in diverse condizioni climatiche e adattarsi alle esigenze della propria zona.
Negli ultimi anni si sta diffondendo un altro metodo di somministrazione che, però, non richiede l’uso di un erogatore specifico ma di un semplice piatto di plastica ed una rete per la raccolta della propoli. Il piattino utilizzato ha dimensioni: 15 cm diametro inferiore, 20 cm diametro superiore ed è di qualità “super rigido”; in pratica si mette la rete per la propoli sul nido, al di sopra di essa si posiziona il piattino di plastica contenente 300 ml di Apifor60 e per rendere la velocità di evaporazione più dolce si utilizza un melario in modo che faccia da camera d’aria.
Quest’estate ho provato a paragonare questi due tipi di trattamento, l’Aspro-Novar e il metodo del “piattino”, per cercare di capire se ci sono differenze sostanziali nella loro efficacia e praticità. La quantità di acido formico utilizzata è la stessa per entrambi i metodi (300 ml), ci vuole più tempo a riempire le boccette dell’Aspro-Novar ma una volta chiuse non c’è più pericolo di fuoriuscita dell’acido mentre bisogna stare molto attenti quando si movimenta il piattino pieno. L’applicazione è più comoda per il metodo del piattino in quanto non bisogna spostare i telaini per fare lo spazio al centro dell’arnia dove posizionare l’erogatore novarese. La prova è stata fatta su 20 colonie a metà agosto, quando le temperature stavano calando rispetto ai valori fuori norma di luglio; durante i trattamenti c’è stato un giorno in cui è piovuto.
Le famiglie dell’apiario presentavano livelli d’infestazione da varroa non elevati, in quanto ad inizio giugno era stato eseguito un “formico flash”, e si attestavano ad una media del 6%. Durante gli 8 giorni di trattamento non ho notato differenze significative tra le famiglie trattate con Aspro-Novar e quelle con il piattino; tutte avevano una consistente barba sotto al predellino ma senza fenomeni di spopolamento o mortalità e, alla fine della prova, presentavano una forte riduzione della covata. Per quanto riguarda le orfanità ho registrato un’unica famiglia a cui è morta la regina (di colore bianco) ed era nel gruppo di quelle trattate con l’erogatore Aspro-Novar, ma ciò non ci fa supporre che ci sia una sostanziale differenza tra i metodi, (andrebbe fatta una prova con un numero di famiglie più consistente).
Trascorsi 8 giorni dall’inizio della prova ho constatato che tutto l’apifor60 era evaporato sia dagli erogatori che dai piattini e ho sistemato le famiglie. Dopo una settimana dalla fine del trattamento ho controllato il livello d’infestazione da varroa con il VEC per avere una prima stima dell’efficacia dei due trattamenti ed è emerso che entrambi avevano abbattuto sufficientemente il parassita, portando le famiglie ad un valore medio d’infestazione inferiore all’1%. Ciò che era già visibile ad occhio è stato poi rinforzato dall’analisi statistica la quale h messo in evidenza una elevata efficacia di entrambi i trattamenti (p level= 0,0000 per entrambi gli erogatori – ANOVA Paired)
Per concludere ritengo l’acido formico un valido alleato nella lotta alla varroa, capace di abbassare rapidamente il livello d’infestazione senza impattare in modo negativo sulle colonie di api ma è estremamente importante che quando si fanno trattamenti con l’acido formico le famiglie siano forti, popolose e ricche di scorte altrimenti si corre il rischio che le api non riescano a gestire l’evaporazione dell’acido subendo gravi danni.