Ai fini del contenimento della varroa, sono più importanti i fattori fitoclimatici o le pratiche degli apicoltori? In altre parole, è merito della natura se l’infestazione della varroa è bassa o siamo noi che siamo bravi a contenerla?
di Marco D’Imperio
Ai fini del contenimento della varroa, sono più importanti i fattori fitoclimatici o le pratiche degli apicoltori? In altre parole, è merito della natura se l’infestazione della varroa è bassa o siamo noi che siamo bravi a contenerla?
Prendendo spunto da alcuni interessanti articoli pubblicati recentemente su Research in Veterinary Science e su Preventive Veterinary Medicine proviamo a porci, in maniera nemmeno poi tanto provocatoria, una domanda: è tutto merito nostro o la natura ci dà una grossa mano? Molti di noi avranno attribuito i meriti del successo (quando e se c’è!) alle nostre fatiche e alle nostre capacità. Sulle prime non c’è da discutere! Sulle seconde qualche dubbio dobbiamo cominciare a porcelo! Vediamo perché…
Secondo gli studi in questione, eseguiti con analisi statistiche di ultima generazione, se analizziamo i livelli di infestazione da varroa all’interno di zone geografiche ristrette caratterizzate da condizioni fitoclimatiche relativamente uniformi (fitoclima = insieme di clima e flora ovvero disponibilità di nettare e polline), le differenti capacità di gestione degli apicoltori nel contenimento della varroa possono essere messe in luce. In particolare sembra che gli apicoltori con maggiore esperienza (più di 10 anni), quelli che tendono a sostituire le regine annualmente e quelli che applicano sistematici trattamenti invernali tendono ad avere, all’inizio della stagione dei raccolti (primavera), famiglie più sane e con minori infestazione da varroa.
Il discorso cambia se invece confrontiamo macro zone caratterizzate da differenti fitoclimi. Ebbene, in quest’ultimo caso, i fattori ambientali cioè le differenti condizioni di temperatura e umidità e la differente flora sembrano condizionare i livelli di infestazione della varroa più delle capacità degli apicoltori.
Nello studio condotto su una regione abbastanza ampia dell’Argentina è emerso che le aree più a nord, caratterizzate da temperature medie più alte (23 °C) e fioriture più varie e lunghe hanno dei livelli di infestazione significativamente inferiori delle aree più a sud nelle quali le temperature medie sono inferiori (17-18 °C) e le fioriture sono più corte oltre che meno varie a causa delle monocolture agricole.
I ricercatori, però, non si sono limitati ad indagare le differenze fitoclimatiche ma hanno anche analizzato l’influenza sui livelli di infestazione delle pratiche gestionali degli apicoltori (nomadismo, sostituzione della regina, fornitura di alimentazione supplementare proteica e/o zuccherina, sostituzione della cera, trattamenti autunnali, ecc.). Quello che è emerso è che i fattori fitoclimatici sembrano avere un maggiore peso nel determinare i livelli di infestazione rispetto alle pratiche messe in atto dagli apicoltori.
Ecco dunque che, anche in apicoltura, comincia a delinearsi quella che può essere definita la gerarchia dei fattori di influenza. In sostanza ci sono dei fattori principali che condizionano i livelli di infestazione da varroa più marcatamente di altri. Fra i fattori principali va inserito l’ambiente ovvero il clima e la flora intesa come disponibilità di nettare e polline sia in termini di tempo (ampiezza della stagione) sia in termini di qualità (eterogeneità delle fonti nettarifere/pollinifere). Fra l’altro, in merito a quest’ultimo aspetto, sembra ormai appurato che la diversità di polline e di nettare tende a rendere le api più sane e longeve. Per quanto riguarda invece il clima sembra che le maggiori temperature condizionino in maniera negativa la varroa sia direttamente, aumentando i tassi di mortalità degli acari, sia indirettamente accorciando il periodo medio di sfarfallamento delle api e dunque il numero di varroe fertili.
I fattori secondari, invece, tendono a condizionale i livelli di infestazione da varroa in misura minore ed emergono solo quando i fattori principali sono omogenei (non confondono, in termini statistici). Fra i fattori secondari ricordiamo tutti quelli che sono legati alla gestione degli alveari da parte degli apicoltori (alimentazione supplementare, sostituzione della cera, nomadismo, sostituzione della regia, frequenza e tipologia dei trattamenti, creazione di sciami, ecc.).
Va precisato, ad onor del vero, che lo studio mette in luce anche un forte legame fra i livelli di infestazione da varroa ed i livelli di contaminazione da nosema. Dunque le altre patologie (nosema, pesti, ecc.) sembrerebbero delinearsi a loro volta come fattori principali e del resto, lo stretto legame fra varroa e batteri, virus e funghi è risaputo (la varroa è il vettore principale, all’interno delle famiglie, di tali microrganismi).
Resta infine da indagare con maggior accuratezza l’influenza sui livelli di infestazione da varroa della genetica; tutto lascia presagire che quest’ultima potrebbe profilarsi come un ulteriore fattore principale. Nello studio si fa cenno ad una possibile influenza del fattore genetico quando si ipotizza che nelle aree del nord dell’Argentina, caratterizzate da minori tassi di infestazione, vi sia anche una maggiore africanizzazione delle api ovvero un maggiore mescolamento genetico con le api africane notoriamente meno affette da problemi di varroa.
Dunque, se prima si ipotizzava che le produzioni fossero imputabili per il 60% alla genetica (alla qualità delle regine), per il 20% all’ambiente (fitoclima: potenzialità e stagionalità) e per il restante 20% alla tecnica dell’apicoltore ora possiamo riscrivere tale assunto nel seguente modo:
le produzioni stagionali sono imputabili (salvo ulteriori studi volti a valutare il reale peso della genetica):
- per il 40% all’ambiente (fitoclima: potenzialità e stagionalità); fattore primario
- per il 40% alla genetica (alla qualità delle regine); fattore primario (?)
- per il 20% alla tecnica dell’apicoltore (quanto siamo bravi); fattore secondario
BIBLIOGRAFIA
Giacobino A., Pacini A. et all.; Environment or beekeeping management: What explains better the prevalence of honey bee colonies with high levels of Varroa destructor? Research in Veterinary Science 112 (2017) 1–6
Giacobino A., Molineri A., et all.; Key management practices to prevent high infestation levels of Varroadestructor in honey bee colonies at the beginning of the honey yieldseason; Preventive Veterinary Medicine 131 (2016) 95–102