I cambiamenti climatici che viviamo oggi potrebbero avere devastanti effetti sulle api. vediamo quali!
di Roberta Negri
I cambiamenti climatici sono un fenomeno che ha da sempre interessato la Terra, legato a complessi meccanismi di “assestamento” del nostro pianeta che gli scienziati chiamano periodi glaciali ed interglaciali, i quali, nel corso dei millenni, hanno portato all’ottenimento del mondo che conosciamo, dove un ampio assortimento di esseri viventi costituiscono l’incredibile biodiversità naturale. Questo è quindi il prodotto diretto di continui eventi naturali fra i quali quelli climatici, avvenuti in tempi piuttosto lunghi, che hanno dato modo agli stessi esseri viventi di adattarsi al meglio al particolare contesto ambientale che li ospitava, dando così vita a tale diversità specifica, genetica ed ecosistemica.
Tuttavia i cambiamenti climatici che viviamo oggi non sono solo da associare esclusivamente a fenomeni “fisiologici” del nostro pianeta, ma piuttosto all’uomo e alle sue attività e in gran misura ai cosiddetti gas serra.
Ancor più grave è il fatto che tali eventi, non esplicandosi più nell’arco dei millenni ma bensì in periodi molto più brevi e ristretti, mettono in serio rischio la capacità di adattamento degli esseri viventi.
Tra le tante prove che ormai dimostrano inconfutabilmente il fenomeno dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo segnaliamo il video pubblicato sul sito della prestigiosa rivista “Scientific American”.
Nel video sono riportate le temperature medie annuali dei paesi sparsi nei 5 continenti a partire dal 1900 fino al 2017. In alto a destra è riportata la temperatura media annuale di tutto il globo ed è dunque ben evidente un suo aumento anomalo nel corso dell’ultimo secolo.
Le previsioni sul futuro sono ancor meno incoraggianti: è infatti ipotizzabile un incremento ulteriore della temperatura compreso tra 1,4°C e 5,8 °C entro il 2100. Tale irreversibile aumento termico avviene, quindi, con una velocità esponenzialmente superiore alla nostra capacità (e volontà) di gestirne le conseguenze.
In questo contesto l’Apis mellifera, amante delle temperature calde ma al contempo dotata di grande plasticità, riesce bene ad adattarsi a diverse condizioni climatiche rispetto alle sue cugine asiatiche e, difatti, le sue 24 subspecie sono diffuse dal Nord Europa fino all’Africa Subsahariana. Tuttavia tali cambiamenti climatici vanno a influenzare più fattori che a loro volta condizionano la sopravvivenza di questa specie, cosicché l’A. mellifera, e con essa la biodiversità, risultano in questo particolare periodo storico minacciata a più livelli.
Il probabile instaurarsi di climi più caldi alle medie latitudini potrebbe comportare un’espansione non solo dell’A. mellifera, ma anche di nuovi predatori (uccelli, aracnidi e altri insetti) e di patogeni i quali, incontrando una popolazione immunologicamente vergine, possono moltiplicarsi con una velocità e diffusione eclatante, con danni economici ed ecologici rilevanti. Ancora, una diversa distribuzione delle zone climatiche porterebbe ad una diffusione ulteriore dei patogeni arrivati recentemente in Europa a causa delle movimentazioni di persone e materiali dai paesi d’origine (Aethina, Vespa velutina) o in seguito allo scambio di materiale genetico, come per Nosema apis e Nosema ceranae. Quest’ultimo patogeno, in particolare, rappresenta una prova tangibile del problema: è un microsporide parassita dell’Apis cerana, isolato in Europa nel 2006 e che, in caso di innalzamento delle temperature, potrebbe facilmente diffondersi a lunghe distanze. Tutti questi sono fattori che andrebbero inevitabilmente a ripercuotersi sulla produttività dell’apiario, nonché sui costi di gestione delle aziende.
L’aumentata concentrazione dei gas serra dà luogo ad una serie di fenomeni a catena a livello della stratosfera, che in ultima analisi si traducono in fenomeni climatici estremi che si succedono in modo repentino.
La siccità, soprattutto quella estiva, è un problema in particolare nelle zone meridionali d’Europa e si rende responsabile di estese morie, in quanto senza fonti idriche le api non riescono a termoregolare adeguatamente le larve e la covata; se il fenomeno dovesse aggravarsi potrebbe causare la perdita di diverse subspecie di A. mellifera, nonché di elementi vegetali con un grave impatto sulla biodiversità.
Le ondate di gelo fuori periodo sono altresì frequenti, come ci ha dimostrato recentemente il gelo di Burian. Queste, oltre ad avere conseguenze indirette sulle api perché compromettono le prime fioriture ovvero le fonti di nettare e polline, hanno conseguenze dirette sulle famiglie che si erano riattivate per produrre covata; ma all’arrivare del gelo, le poche scorte non saranno sufficienti per la colonia che potrebbe così morire di fame. Fondamentale in questi periodi è quindi l’assistenza ed il controllo da parte dell’apicoltore ed il ricorso all’alimentazione supplementare che, per quanto non equiparabile al nettare ed al polline in termini nutrizionali, può fornire un buon sostentamento. Questa è quindi una soluzione valida per le api allevate e per il bilancio economico finale dell’azienda, ma non per la popolazione apistica “selvatica”, la quale sarebbe comunque e inevitabilmente destinata a diminuire: la sopravvivenza di una specie, qualunque essa sia, non può e NON DEVE dipendere dall’attività e dalla presenza dell’uomo.
Anche un’aumentata piovosità sembra creare problemi, dal momento che alcuni studi dimostrano che l’acqua tende a diluire il nettare rendendo così le piante meno attrattive per le api, con conseguente calo delle rese dell’apiario.
Confermato ormai è anche l’effetto deleterio sui fiori: sono state eseguite numerose ricerche a riguardo, da cui è emerso che non solo il tasso di umidità-siccità influenza la quantità di nettare e polline prodotta dalle piante, ma sarebbe in grado di influire negativamente anche sulla qualità degli stessi. Un aumento delle temperature, per esempio, indurrebbe alcune specie ad anticipare la fioritura con conseguente diminuzione del numero di fiori maturi.
Qualora il cambiamento climatico fosse troppo repentino rispetto alla velocità di adattamento delle specie, allora si potrebbe ipotizzare uno scenario in cui le stesse specie potrebbero produrre fiori sterili e quindi dovrebbero sopravvivere senza riprodursi sessualmente ma affidando la perpetuazione della specie alla sola riproduzione agamica ovvero alla creazione di cloni tutti uguali a se stessi e dunque poco adattabili ai cambiamenti.
Sembra inoltre che l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera abbia un effetto diretto sulla fisiologia della pianta: se da un lato è facile attendersi un aumento del tasso di fotosintesi e quindi di organicazione del carbonio, dall’altro può verificarsi una diminuzione della produzione di proteine per il polline; a prova di quanto detto, sono stati confrontati dei campioni di polline del 1852 con alcuni del 2004: in quest’ultimi è stato rilevato un calo del 30% delle proteine nonché un calo nella qualità delle stesse. I cambiamenti climatici porterebbero dunque all’inevitabile perdita delle piante meno flessibili dal punto di vista adattativo e di quelle meno resistenti al caldo torrido e probabilmente ad un aumento delle specie abituate a climi caldi con probabile invasione di specie “aliene” le quali potrebbero prendere il sopravvento sulle specie autoctone.
In conclusione, è evidente che le api sono minacciate da più punti di vista, e che stanno risentendo e risentiranno ancora dei disastri che l’uomo in poco meno di 200 anni ha causato per mancanza di buon senso e
interessi economici: i repentini cambiamenti del clima, l’alto tasso d’inquinamento ambientale, il sovra sfruttamento delle risorse, la distruzione e la frammentazione degli habitat e, non per ultimo, le specie aliene introdotte dall’uomo sono solo alcuni dei cambiamenti che le nostre api si accingono ad affrontare.
Bibliografia
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- Apiculturist Emeritus Eric Mussen, from the U.C. Apiaries.