Con questo articolo vogliamo proporre alla comunità dei lettori più esperti un’ipotesi che da tempo ci ronza nella testa ovvero il fatto che la di popolazione della varroa possa seguire, all’interno degli apiari, una dinamica “souce e sink”
di Marco D’Imperio
Nel corso di questi anni di prove per testare l’efficacia dei farmaci contro la varroa eseguite da APAS e da tutta la rete del CRT, ci siamo frequentemente imbattuti in alcune famiglie, fra quelle sottoposte alla prova, che mostravano infestazioni decisamente più alte rispetto alla media dell’apiario.
All’inizio un po’ tutti avevamo trascurato questi dati e semplicemente avevamo etichettato le famiglie con alte infestazione con l’appellativo di “punte” volendo indicare, con ciò, quegli alveari all’interno di un apiario che avevano infestazioni altissime o, come si dice in gergo statistico, che si allontanano dai valori medi e vanno a cadere nelle code della cosiddetta distribuzione normale o a campana.
Con l’accumularsi delle prove ha cominciato a farsi strada l’idea che ci fosse dietro qualche spiegazione biologica e che non si trattasse di semplici causalità.
Ripescando nella memoria alcune nozioni di ecologia, ecco dunque che è tornato alla mente il concetto di “Source e Sink” utilizzato inizialmente per spiegare i flussi di energia e materia fra gli ecosistemi e poi magistralmente adattato all’ecologia delle popolazioni:
- una popolazione source è quella in cui la natalità è superiore alla mortalità;
- una popolazione sink è quella in cui la natalità è minore della mortalità;
Ne consegue che, per ristabilire l’equilibrio (o mantenere la capacità portante dell’habitat) dalle popolazioni source vi sarà un certo flusso migratorio di individui verso le popolazioni sink.
È in base a questo principio che spesso vengono create le riserve naturali o i parchi che in genere coincido con le aree source. Queste ultime riforniscono di individui le aree sink nelle quali magari è aperta la caccia o la pesca. Tale principio può essere applicato, almeno in via teorica, a tutti gli esseri viventi ed in modo particolare agli animali a partire dagli insetti fino ai grandi mammiferi.
Nel caso della varroa il concetto di “ALVEARE SOURCE” va inteso come un alveare dal quale escono più varroe di quante ne entrano. Al contrario, un “ALVEARE SINK” va inteso come un alveare nel quale entrano più varroe di quante ne escono. Questi ultimi potrebbero costituire proprio le famose punte ovvero alveari nei quali si ritrova un eccesso di varroa che dunque va ad alzare i livelli di infestazione ovvero i livelli di ZAV e/o di cadute.
Ovviamente il movimento della varroa va inteso, in questo caso, come un movimento veicolato dalle api.
Ma se ci fermassimo ai soli numeri non avremmo nulla di oggettivamente interessante; è invece la possibile spiegazione biologica che potrebbe interessarci maggiormente.
Ed ecco dunque l’IPOTESI: e se le varroe fossero in grado di cambiare il profilo fermionico delle api (cosa quasi del tutto acclarata) e spingere queste ultime ad essere attirate dagli alveari sink dove, per qualche ragione, si crea un ambiente favorevole/attrattivo per le varroe e per le api parassitate da varroa?
Non è nemmeno difficile immaginare che i trattamenti possano alterare gli equilibri feromonici e dunque mescolino le carte facendo nascere nuovi alveari sink. Una sorta di “deriva da trattamento”.
Ma quali implicazioni potrebbe avere il riconoscimento di una tale dinamica. Certamente imporrebbe una riflessione sui trattamenti. Identificare gli alveari sink (le punte) consentirebbe di concentrarsi in maniera mirata su di essi anziché sull’intero apiario con indubbi benefici sia sulla salute delle api che sul tempo e sulle spese che l’apicoltore deve sostenere.
A beneficio della riflessione riportiamo anche qualche altra informazione che può essere utile ad inquadrare meglio l’argomento.
Le dinamiche sin qui discusse:
- non sono legate al mancato funzionamento del trattamento. Quest’ultima eventualità è nella gran parte dei casi identificabile con una certa facilità (per esempio l’errato posizionamento degli erogatori o il mancato consumo di formico) e dunque tali dati “anomali” non sono stai considerati nel ragionamento fatto sin qui;
- sembrano indipendenti dal tipo di trattamento sottoposto a sperimentazione (le punte si sono manifestate più o meno diffusamente tutti gli anni, in tutti gli apiari e con tutti i farmaci testati e non solo nei trattamenti che funzionano meno);
- non sembrano legate alla genetica: se fosse così dovrebbero essere sempre le stesse famiglie/regine, di anno in anno, a presentare infestazioni più alte;
- non sono certamente legate alle modalità di misurazione delle infestazioni perché al di là della precisione dei metodi sulla quale ognuno di noi si è fatto un’idea, il manifestarsi delle cosiddette punte si è avuto sia quando l’infestazione è stata misurata con lo ZAV sia quando si è proceduto al conteggio sui fondi;
- non sono legate al metodo statistico con il quale vengono identificate le cosiddette punte (box plot basati sulla mediana, sulla media, percentili, cut-off, ecc.). Il metodo statistico può identificarne qualcuna in più o qualcuna in meno ma non far sparire del tutto il fenomeno.